Bacheca d'Europa


"Sinergie artistiche" di Carlo Piola Caselli

      Il 18 aprile si è inaugurata a Roma, nella galleria Edieuropa, una mostra particolare, intitolata «White Soul», con la partecipazione dello scultore Giovanni Casellato, della pittrice ed architetto Mirandolina Di Pietrantonio e della fotografa Veronica Gaido.
      Lo scenario è suggestivo, essendo nel piano terreno del palazzetto Cenci, adattamento architettonico realizzato tra il 1579 ed il 1584 da Martino Longhi il Vecchio (l'autore anche della torre del Campidoglio e del cortile di palazzo Borghese): girando intorno ad un cortiletto, sapientemente incastonato dall'architetto rinascimentale, nei due lati, sinistro e d'accesso, egli ha giocato su tre pilastri e quattro colonne, due grandi archi e quattro architravi ad ampio respiro, realizzando così due grandi «trifore serliane» ad angolo (anche se in effetti queste alternanze architravate con i «vuoti» erano già state adottate, assai prima di Sebastiano Serlio, nel tempio di Adriano ad Efeso e nel palazzo di Diocleziano a Spalato quindi riprese alla grande dal Palladio).
      A far gli onori di casa, oltre a Brigida Mascitti, la quale ha intitolato il proprio testo critico al catalogo «Dentro e Fuori (lo spazio dell'Anima nel bianco delle Arti)», la gallerista Raffaella Bozzini, Ilaria de Grenet (la Paolina Bonaparte a cavallo del terzo millennio, con il suo codazzo di artisti e di ammiratori) e Roberta Calò, in sinergia con le produzioni artistiche esposte.
      Il bianco, non colore ma sintesi cromatica, la luce, luce dell'anima, la nuvola, inafferrabile, la schiuma del mare, che si dissolve, il limbo, il vuoto, l'inizio dell'opera su cui tremano le mani creative, la porzione di calce degli affreschisti su cui misurano la propria giornata, clessidra inesorabile del tempo, pagine in attesa del tocco, della scrittura, del tratto, immedesimazione, concentrazione del proprio io come su uno schermo, simile ad un lenzuolo su cui proiettarsi.
      Arte al servizio dell'anima od anima al servizio dell'arte? Chi è «domina», chi «ancilla»? Luogo del niente, nihilismo, o luogo dell'invisibile, che diviene visibile, a volte solo parzialmente, affinché ciascuno metta del suo ad interpretarne il messaggio? Perfezione trascendente o puro sentimento? Rifugio nell'Assoluto? Quante riflessioni provocano in noi le profonde parole della critica d'arte, la quale ha svolto anche delle erudite riflessioni storicistiche che tralasciamo.
      Casellato ci offre subito un benvenuto, con tre gioiosi agili aquiloni metallici, nel cortile, poiché gli sono volati via dalle mani prima che potesse smaltarli di bianco.
      Passando oltre la prima sala, nella seconda ci addentriamo tra le fotografie, Gaido mi illustra le vaghe ciprigne labbra della sua Afrodite, elemento squisitamente femminile, la lascio raccontare, è appassionata di mitologia, che mette quasi dappertutto, nella barca che potrebbe rappresentare tanto il girovagare di Ulisse quanto i barconi dei disperati, anima-acqua-viaggio, come anche quella di Caronte, per traghettare le anime; per lei è particolarmente importante anche la dicotomia acqua-anima, intesa come purificazione; acqua fluida, liquida, che può solidificarsi, ma anche sublimarsi nell'evaporazione; sento in profondità quello che mi dice perché sono appena tornato da Benares, uno dei luoghi che ella ben conosce e dove entrambi abbiamo profondamente riflettuto; additando un'altra sua foto, cerca di non raccontarmela giusta, parla di una casa sulle palafitte, io dico che ci vedo delle trivelle, si scoppia a ridere. Forse ho trivellato giusto. Del resto, aggiungo, la discesa agli inferi, i cipressi ne sono testimoni, fa parte anch'essa della mitologia. A volte ella utilizza anche un drone, al quale applica l'apparecchiatura fotografica.
      Salendo un paio di gradini si entra nell'altra sala, alle pareti ci sono dei grandi quadri della Di Pietrantonio, tele che danno forma, con del tessuto calcinato, a dei bassorilievi, con giochi di ombre, una specie di cosmogonia, bellissima la spirale, ella mi racconta che a volte son nate, diremmo in maniera ermeneutica, dall'idea di riempire delle pareti nelle ristrutturazioni che fa degli appartamenti, ma ancor di più, esse sono pause contemplative, fiore e frutto dalla meditazione, derivate da quell'equilibrio zen, il quale è il riflesso dei suoi frequenti viaggi in oriente. «In ogni momento presente possiamo ritrovare in noi stessi l'infinito». Infatti ella, nella fluidità dello spazio, ricerca leggerezza, luminosità ed armonia.
      Nella medesima sala, disposte sul pavimento, si ergono le opere di Casellato, le sue anime, figure esili in acciaio smaltate di bianco, discrete, compiaciute, eleganti, flessuose, sottilmente tridimensionali, godendo implicitamente della sfumatura delle ombre e dei riflessi naturali della luce, essenziali nella linea, come dei design, poetiche, interiorizzanti. Imprime in loro una ovidiana metamorfosi, le rende animate, come fece Collodi con il legno, infatti egli dice a tutti «sono sicuro che ci sentono, ci ascoltano e sorridono di noi». Ed intanto si proiettano agilmente come guglie verso l'alto, idealmente fin verso gli aquiloni.
      In epigrafe alla presentazione, tutto ciò è sintetizzato nel famoso aforisma, tratto dal capolavoro di Victor Hugo: «C'è uno spettacolo più grandioso del mare, ed è il cielo, c'è uno spettacolo più grandioso del cielo, ed è l'interno di un'anima».